Funzione e stile
Il Centro di Ascolto è un’espressione della comunità cristiana e della propria testimonianza di fede. È il luogo, la cui funzione è quella di incontrare, accogliere, ascoltare e prendere in carico una persona che vive una situazione di fragilità sociale, economica e culturale rispettando, senza pregiudizi e
prevaricazioni, le storie di vita incontrate. Il Centro di Ascolto diviene quindi uno strumento pastorale attraverso il quale si offre una risposta concreta alle persone e si stimola la solidarietà e la corresponsabilità di tutta la comunità nel servizio verso il prossimo.
Il CdA svolge, dunque, una duplice funzione. È luogo:
1. operativo: perché fornisce la risposta ai bisogni attraverso gli interventi;
2. progettuale: perché a partire dalle risposte attiva processi di implementazione della
“pedagogia dei fatti”.
Lo stile che contraddistingue l’azione di un CdA è la promozione.
Nei CdA non si restituiscono soltanto gesti concreti, quali accoglienza, ospitalità, servizi poiché dopo che tutto è stato tentato, manca ancora una prospettiva di senso. A che cosa si ridurrebbe il CdA se non aiutasse a dare un senso, un significato al dolore e alla presenza del patire nel mondo? Perciò diventa importante chiedersi se non sia proprio questo punto che vada a connotare in maniera del tutto originale, rispetto ad altre forme di aiuto, la ragione della presenza dei CdA.
Essi aprono le loro porte a tutti, indistintamente persino a coloro che magari non vogliono neanche essere ascoltati ma chiedono solo un aiuto materiale; persone che però sanno che se volessero, in qualsiasi Centro si recherebbero, troverebbero altre persone disposte ad ascoltarle a condividere i
loro racconti di vita, in un orizzonte aperto alla speranza del Vangelo.
Il fulcro centrale è l’ascolto che in Caritas è sia metodo che atteggiamento costituente e fondante.
L’ascolto deve dire la capacità di accoglienza degli operatori Caritas senza la pretesa di una diagnosi, di un voto, di un giudizio. Perciò l’empatia, la compassione sono già luogo di aiuto che fin da subito dicono come la qualità della relazione debba avere il primato sulla prestazione.
È perciò indispensabile, persona per persona, vivere la prossimità dentro un percorso individualizzato e non standardizzato dove – concretamente – vi sia almeno un tentativo di definire “come, dove, quanto”, se la persona possa concretamente seguire un percorso, fosse anche pluriennale, esprimere
le proprie risorse ancora presenti a misura della “sua” sostenibilità.
L’ascolto che si realizza in un Centro dovrebbe porsi l’obiettivo di aiutare la persona in difficoltà a:
• acquisire consapevolezza della propria situazione;
• ritrovare fiducia in se stessa e negli altri;
• stabilire relazioni costruttive (anche con i servizi e le risorse locali).
Ascolto e presa in carico
Il senso autentico dell’ascoltare all’interno del metodo Caritas è quello di incontrare, conoscere, entrare in relazione dopo esserci accorti di chi ci sta accanto. È uscire dalle nostre vedute e dai nostri schemi; è disponibilità a far spazio all’altro e alla realtà che ci sta attorno; è prendere parte, è capacità di condivisione della vita che ci viene raccontata; è uno stile, un atteggiamento per cogliere e farsi carico di presenze, di silenzi, di situazioni, di drammi presenti sul territorio. L'ascolto è parola che ricorre insistentemente nelle Scritture. E' condizione per incontrare il Signore, è strada per avvicinarsi a Lui, è luogo di attenzione della prossimità. L'ascolto è una scelta esigente ed irrinunciabile della propria testimonianza di fedeltà al Vangelo. Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l'amore di Dio comincia nell'ascolto della Sua Parola, così l'inizio dell'amore per il fratello sta nell'imparare ad ascoltarlo. Accogliere ed ascoltare una persona significa permetterle di esprimere tutta l'umana ricchezza della sua unicità. L'ascolto è il primo e fondamentale strumento per giungere alla condivisione, una condivisione che ci interroga sul rapporto Carità/giustizia e sulle sue mediazioni. Il bisogno di essere ascoltati e la disponibilità ad ascoltare, rappresentano il primo passo per costruire una buona relazione con gli altri. Per ascoltare non si intende il semplice “stare a sentire”, ma una combinazione tra ciò che l’altro sta dicendo associato ad un coinvolgimento attivo. Significa saper utilizzare l’empatia per entrare in sintonia con l’altro. Saper ascoltare è un’abilità che dobbiamo imparare a coltivare, se vogliamo che le relazioni che intratteniamo con gli altri si convertano in qualcosa di edificante e produttivo.
Saper ascoltare gli altri significa:
1. concentrarsi sulla persona che ci sta parlando e su quello che dice;
2. mostrarsi pazienti e non interrompere l’interlocutore (anche se non siamo d’accordo con lui)
3. porsi in maniera neutrale, senza far prevalere eventuali pregiudizi (anche se si tratta del collega più indisponente di tutto l’ufficio);
4. prestare la massima attenzione non solo alle parole, ma anche al linguaggio non verbale (che può aiutarci a completare la decodifica dei messaggi che ci vengono inviati).
Per poter fare tutto ciò, occorre:
a. Non avere fretta
Viviamo nel mondo “di corsa”. Ciò fa si che magari nel momento in cui l’altro ci chiede un attimo di attenzione, allora in quel momento quell’attimo non ce l’abbiamo. Magari, per non dispiacerlo, gli dedichiamo qualche minuto, speso però distrattamente, con l’occhio all’orologio perché altri impegni ci aspettano. Meglio rimandare, meglio essere sinceri e darsi un altro appuntamento perché non si può trarre nessun profitto di un ascolto fatto in questo modo.
b. Essere capaci di “muoversi” verso l’altro
Se ascoltando l’altro rimaniamo nelle nostre posizioni o, per meglio dire, non abbiamo la disponibilità a muoverci verso l’altro, allora il nostro gesto può risultare vuoto. Se non ho la capacità di indossare le vesti dell’altro, di mettermi nella sua posizione; se non ho voglia di sporcarmi con i problemi che l’altro si porta dietro, allora è meglio rinunciare. Potrò al massimo sentire, ma mai vivere l’altro nella sua umanità e nella sua complessità.
c. Avere una visione d’insieme
Nell’ascolto dell’altro non ci si può fermare al particolare ma bisogna saper cogliere il contesto, saper costruire una scena in cui quello che ci viene detto va collocato, naturalmente non per giudicare ma per capire meglio.
L’espressione “presa in carico” è una formula tipica del linguaggio dei servizi sociali. Espressione dal contenuto poco definito sul piano concettuale, essa rimanda all’idea di un servizio che “si fa carico” di seguire continuativamente una persona (o una famiglia), di non lasciarla a se stessa, di garantire una presenza capace di offrire opportunità e sostegni, con l’obiettivo promozionale di permettere alle persone di controllare attivamente la propria vita (Milani, 2001). Volendo tentare una definizione, possiamo intendere la presa in carico come un processo in cui un operatore sociale, a fronte di una domanda espressa o inespressa, ma comunque sulla base di un mandato istituzionale, progetta uno o più interventi rivolti a una persona o a un nucleo di convivenza, mantenendo con essa (esso) un rapporto continuativo al fine della revisione dell’intervento stesso nel corso del tempo. La “presa in carico comunitaria” è lo stile della Caritas, poiché, è la “capacità dell’insieme dei soggetti locali, istituzionali e sociali di attivare e condividere responsabilità e risorse per garantire risposte ai bisogni delle persone in difficoltà e azioni coordinate, in grado di favorire processi di promozione, prevenzione e benessere”. In particolare, per la Caritas la “presa in carico” è la costruzione del “PROGETTO PERSONALIZZATO” sulla persona con lo stile dell’ACCOMPAGNAMENTO. Infatti per la Caritas prendere in carico una persona significa accompagnarla nel cammino di uscita dalla fragilità in una logica di condivisione del percorso. Questo significa che prendersi cura non è farsi carico del problema dell'altro in un processo che parte dall'ascolto dell'altro e costruisce a partire da questo un percorso di accompagnamento condiviso. Secondo questa accezione, dunque, per la Caritas la presa in carico con lo stile dell’accompagnamento è basata sulla relazione tra soggetto e soggetto e non tra soggetto (operatore) e oggetto (la persona ascoltata).